martedì 18 ottobre 2011

Solitudine, viaggio interiore...


…..Adesso il Bianco Dottore sta seduto, stranamente silenzioso, accanto a me. Guardo le mie gambe dentro una tuta blu larga e felpata. Sono le gambe di una donna. Se ne accorgerà? Le incavallo, sperando che così si veda meglio, che sono una donna. Ma lui sembra non accorgersene. Provo a parlargli della solitudine. Della mia solitudine. Così avrà qualcosa da analizzare e forse uscirà dallo strano silenzio in cui è piombato.
Mi vedo come fossi un eremita e glielo racconto: sono un’immagine scura, china su me stessa, impegnata nella solitudine del mio percorso.
Un lavoro a matita, mi par d’essere, fatto ad arte coi chiaro-scuri.
Una sorta di solitudine spesso obbligata dalla ricerca di se stessi.
Questo chiaro-scuro mio, molto più scuro che chiaro, sta a significare il lato occulto delle cose. Il mistero forse non svelabile del nostro cammino.
Sto china, introflessa, a difendere i miei tesori cercati e trovati. Posizione raccolta e chiusa, concentrata su se stessa, che esclude gli altri dal proprio percorso. Solitudine come libera scelta, ma sofferta.
Un lungo bastone pastorale mi accompagna, sostiene il mio cammino assieme alla lanterna, unica luce, indispensabile al pari del legno: poche cose, essenziali. Me stessa e quella fiamma che vuole illuminare perché calata fuori e dentro di me proprio a questo scopo. Nient’altro.
Questa è la solitudine. Io stessa, il mio ingegno e ciò che mi circonda.
E poi la riflessione, e questa è un’altra solitudine che mi allontana dagli altri, che non sanno né possono sapere del mio percorso.
E infine, l’obbligo ad andare. Altra solitudine, ché il cammino di ognuno di noi sta su un passaggio differente.
I miei ciottoli non saranno mai i tuoi, Bianco Dottore, anche se spesso ne troveremo di simili.
Questo immergersi nelle cose, nelle sensazioni proprie delle cose, questo ascoltarsi, muovendosi a stupore e meraviglia. E da quest’ascolto percepire il riverbero di altri cuori, di altre emozioni che prima non mi appartenevano.
Ascoltare me stessa, china, è ascoltare il suono dell’umanità tutta.
Come la risacca significa il mare che s’infrange, così il suono dell’intimo significa l’universo.
Dall’improvvisa estensione del nostro apparentemente piccolo, circoscritto io, nasce la meraviglia. Eppure, continua la sofferenza solitaria.
Potrò mai trascendere la mia solitudine? Potrò conoscere l’appartenenza? A questo anela, in fondo, la solitudine: solve et coagula. Alla riunione delle cose create.
Cammina! Cammina! Il fermarsi non esiste più. Mai più sarà il riposo, il sedersi, l’abbandonarsi alla vita semplice. Lo stare sulla superficie delle cose. Mai più.
Scompare la possibilità del non interrogarsi, del non ascoltarsi, del non immergersi negli abissi. E drammatico, cade quel velo che mi fa vivere più come animale che come essere umano. Crudele si lacera e vedo, non la verità delle cose, ma l’obbligo al cammino.
La verità poi, ha da venire.
…. Il Bianco Dottore mi ascolta fino alla fine in silenzio, ma i suoi occhi tradiscono la tempesta che si sta scatenando dentro di lui. Poi ritrova il controllo delle sue acque interiori e riprende a fare domande.
Vuole sapere troppe cose. Non rispondo più, sono stanca di parlare con uno che non si accorge che sono una donna.
Stringo le gambe l’una contro l’altra. Così forte da sentire male alle ginocchia, che cozzano. Stringo anche le labbra.
Finalmente capisce e si alza, fa per andarsene. Poi si ferma, indeciso, si volta verso di me e, supplicandomi con gli occhi, mi dice:
“Parlami dell’Amore..."


bea

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