lunedì 31 ottobre 2011

Il cambiamento sei tu!

Ogni volta mi chiedo, vedendo persone preoccupate, innervosite
o deluse che protestano, dov'è il cambiamento che cerchiamo.
È qui: davanti a noi, in noi. Siamo noi.
Il cambiamento epocale avverrà in prima persona. Abbiamo un enorme
potere, quello di
scegliere come vivere, cosa acquistare, di cosa vestirsi, come nutrirsi, come spostarsi, come scaldarsi, come educare i propri figli, in che dio credere e che valori avere. Semplicemente ce ne siamo dimenticati, nella fretta di fare quello che si dovrebbe fare, ovvero produrre, guadagnare, correre, vivere secondo schemi prestabiliti.
Il cambiamento è qui.
L'umiltà di partire da se stessi, nelle piccole scelte quotidiane, è la base del cambiamento dell'umanità. Scegliere è la parola d'ordine. È facile, semplice, immediato, sicuro e permette di riscoprire le potenzialità umane.
Adesso, in questo istante, mentre mi leggi, spengi la tv. Non
ascoltarla. Non guardarla. Rifletti tu, con la tua testa, su quello
che vedi intorno a te. Lascia scorrere libere le tue personali
considerazioni. Deduci in autonomia di pensiero. Poi scegli. Adesso,
mentre mi leggi, decidi se davvero avere un'auto costosa ti cambia la
vita o se con un'auto più modesta puoi spostarti lo stesso. Pensa a
come è costruita quell'auto, a come è commercializzata, pensa a quanto
può costare in risorse umane. Poi scegli. Decidi se affogare le
giornate in ufficio, seguendo etiche commerciali che nemmeno condividi
per portare a casa uno stipendio medio alto e se questo ti può davvero
essere utile. Valuta quanto vale il tuo tempo di vita e che cosa è più
importante fare. Poi scegli. Adesso, mentre mi leggi, considera di
cosa ti vesti, quanto vale vestirsi in un certo modo anziché in un
altro, cosa significa per te vestirsi, quanto incide sulla vita altrui
– animale o umana – quello che ti metti addosso. Poi scegli.  Valuta
come ti scaldi e come ti sposti, cosa usi per farlo e cosa questo
causa al mondo dove vivi. Poi scegli. Scegliendo metti in atto la tua
Libertà. Ora. Qui. Subito. Scegliendo metti in atto il cambiamento.
Perchè il cambiamento sei tu.
bea

mercoledì 19 ottobre 2011

Cronaca: torna l'inverno...

Qui il freddo sta arrivando, il vento spettina i castagni con le prime foglie canute. i ricci stanno a terra formando tappeti orientali d'inverno. Per scaldarsi dobbiamo tagliare la legna, segarla, spaccarla e sistemarla in ordinate cataste. Usiamo legna secca, senza abbattere alberi ma ripulendo i boschi intorno. La stufa canta, ma dopo aver fatto legna da ardere fa sempre troppo caldo in cucina. La stufa canta e scoppietta intima e confortevole, emanando un tepore asciutto e sano di bosco...


bea

Cronaca: storia di Orso. Vecchio, insignifante, importante cane...

Orso...


10 dicembre 2004…. entro nel canile e sono subito circondata da una cinquantina di cani che mi fanno le feste…da sotto una baracca-cuccia, con la coda dell’occhio vedo correr via grossi ratti scuri, forse disturbati dal mio arrivo.
I volontari hanno stivali di gomma coperti di fango e il fango stesso sembra voler inghiottire anche me. Una volontaria giovane e gracile che indossa una giacca quattro taglie più grande della sua, mi dice che ce ne sono altri duecento chiusi nei recinti. Anche gatti. Questi, scaruffati e con l’espressione contrariata o annoiata, mi osservano dalle grate di una finestrella in alto…
Mi guardo intorno, tentando di non sentire quei latrati assordanti, alla ricerca di un amico che mi possa far compagnia. Intanto i cani, di tutti i colori, taglie ed età, continuano a girarmi intorno, chi saltando, chi annusando, chi scodinzolando con frenesia. Alcuni sembra si vogliano proprio “vendere bene”, altri sono solo curiosi o vogliosi di giocare.
Lontano da tutti, in un angolo, vedo un mezza - taglia nero con il petto bianco, il solito anonimo “nerino” che si trova in ogni canile che si rispetti. Tace, forse l’unico a farlo, e tiene il capo basso, osservandomi appena di sottecchi. Silenzioso, discreto, dignitoso, penso io.
Chissà cosa pensa lui.
Chiedo alla volontaria gracile chi è quel ragazzino nero con un orecchio su e uno giù. Lei mi risponde che il ragazzino è il vecchio Orso, dodici anni, sordo e malato di convulsioni, e l’orecchio non è giù, ma gli manca proprio…
Mi piace. La sua dignità mi piace, il suo riserbo. Da quel momento non penso ad altro. Scegliere un cane, adesso lo so, è un colpo di fulmine.
Ma, per adesso, io non piaccio a lui. Non mi degna di uno sguardo, neanche quando tento di conquistarlo portandolo a spasso con il guinzaglio. Cammina dritto e tutto preso dalla passeggiata, ma non reagisce alle mie carezze e continua a camminare al mio fianco facendomene gentile concessione, senza confidenze. E questo dura settimane. Mai una volta Orso mi guarda negli occhi.
Sono io adesso dalla parte dei cani che si volevano “vendere bene” al mio arrivo al canile. Devo scodinzolare per attirarlo? Forse. Gli porgo dei bocconcini, li prende con delicatezza e se li gusta lentamente. Niente di più. Quando arrivo non si sbilancia neanche un po’: accetta il guinzaglio e poi via nel prato verde, ma sempre con l’aria di chi è troppo impegnato per dar relazione a chiunque…
Il giorno che arriva a casa piange quando la volontaria se ne va via. Devo ancora conquistarlo. Sta sotto il radiatore tutto il tempo, capisce subito le regole e le rispetta, ha un otite grave che riesco a curare a fatica e se si spaventa entra in doccia e non ne vuole più uscire. Con il tempo comincia ad alzare il capo e guardarmi con quegli occhietti tondi e marroni, mi segue e sembra finalmente cominciare ad accettarmi come amica, ma sempre con riserva…. Le convulsioni si presentano sempre più spesso, emette un suono tra un colpo di tosse e un lungo guaito poi diventa rigido ed infine si accascia…questo accade anche una volta la settimana… Un giorno durante un attacco cade dalle scale e per questo ancora oggi cammina tutto di traverso per una lesione alle vertebre cervicali. Comincia a soffrire di labirintite e due volte devo mettergli il collare rigido per la caduta. Le cure diventano sempre più frequenti, ma i risultati sono piuttosto scarsi…

Febbraio 2008

Finchè non metto su un azienda agricola, dove Orso insieme a Medea, piccola maremmana tascabile adottata come lui, scorrazzano tutto il giorno all’aria aperta.
E da quel momento, esattamente un anno fa, Orso all’improvviso non ha più avuto convulsioni. L’azienda porta sul cancello, in onore proprio a lui, il nome di Poggio all’Orso.
Adesso ha sedici anni, è pieno di acciacchi, ha un dente ogni quarto d’ora e brontola spesso e volentieri, soprattutto contro le pecore, che, credo, non abbia capito ancora cosa siano di preciso…però finalmente mi ha adottata, adesso mi corre (si fa per dire!) incontro e mi fa le feste con quel mezzo orecchio che gli ballonzola di traverso.
Sordo come una campana, quando lo chiamo si gira da tutte le parti eccetto la mia, per vedere chi lo sta cercando. Eppure, mai mi sono pentita di averlo preso. Lui mi ha insegnato quella grande qualità che spesso, troppo spesso, a noi umani manca: la dignità. Ce ne ha messo di tempo per darmi il suo amore, e mi ha fatto sudare per conquistarlo, ma oggi è parte integrante della famiglia.
Per questo di questa storia non ci sono foto, perché l’amore non si può fotografare…

Aprile 2009

Orso ha tre amici, tutti adottati come lui: Poldo, Caramella e Medea. E’ il nonno del gruppo, un po’ brontolone e poco disposto a giocare con i due nuovi cuccioli. Ultimamente fatica a camminare e quando è in piedi dopo pochi minuti si accascia, le zampette non lo reggono più. Eppure, adora stare nel prato, si distende, si guarda intorno e gode di quel che vede, negli occhietti marroni brilla il riflesso del sole, facendogli tornare lo sguardo luminoso di quando era giovane. Però, ogni giorno di più, invecchia. Adesso passa il tempo sulla sua brandina, all’ombra di un vecchio castagno. I suoi amici spesso gli vanno intorno e lo leccano, quasi a dire. “Ci siamo, siamo qui…”. Da una settimana rifiuta il cibo, beve solo a siringa e ogni tanto getta dei gridi fortissimi, non capisco se di dolore o disperazione. Poi si accascia tremante. Un giorno, lentamente e senza far rumore, i suoi occhietti marroni si chiudono, per sempre. Decidiamo di tenerlo con noi. Viene adagiato su una carriola per portarlo sotto all’abete più vecchio dell’azienda, lì dormirà per sempre… il mio compagno si muove con passo lento portando il corpicino verso il grande albero. Io osservo da una collinetta vicina, mentre il dolore mi riempie. Non ho il coraggio di partecipare, non ce la faccio… Eppure, ad un tratto, vedo dall’alto che a Claudio si aggregano, in ordine silenzioso e sparso, prima i tre cani giovani, poi le due pecore, infine la capretta con i tre figli piccoli… seguo con lo sguardo la scia animata di quello strano corteo funebre che arriva sotto l’abete. Claudio ferma la carriola con Orso, gli altri animali si dispongono intorno, i cani seduti si scambiano piccoli gesti che ricordano un gioco sommesso, quasi sottovoce. Pecore e capre brucano lente facendo tintinnare i campani che portano al collo, alzando ogni tanto lo sguardo verso ciò che sta accadendo. La vanga e la pala fanno il loro rumore. Fino alla fine, tutti assistono al rito, in un silenzio intriso di serena partecipazione…. La consapevolezza della morte di Orso nei suoi amici animali mi sta insegnando come si affronta la partenza di uno di noi….

Ancora oggi lo rivedo scodinzolare sul prato, mi immagino allora la sua camminata storta, buffa e incerta, Orso è rimasto qui……

Bea



Orso

S'era fatte già viecchie à nù canile,
passav'è Juorne suoje cà sufferenza
aspettanne cà à sciorta (1) soje se consumasse...
Ma, nà matina sente nà carezza,
nà voce amica e doce cò chiammave:
er'arrivat'ò cagne (2) dò destino!
A' provvidenza à vote n't'abbandona,
pure si si nù cane
pò arrivà all'improvviso chi te pensa
e a vita toje s'avvia pà nata strada...
A chillu juorn ò cane addivent'Orso:
se cura è malatie, se fà ò shampo
e s'acchiapp'è carezz'ogne mumente
di un angelo ca è scise, pe isse, a copp'ò ciele...
A date pure ò nomme à nà campagna
ca, cchiù è nà terra, pare ò paravise
e mmò sà uarda cuntent'è fà ò patrone...
Pò, comme fernesce ogni cosa bella,
arrive pure pe isso à cartulina:
adda partì surdate m'Paravise...
Nù sguarde tutt'attuorne: è nù saluto
à padrona, a campagna e all'ati cani
e s'addurmenta pè n'se scetà cchiù...
Mò c'è rimaste nù cancielle chiuse
e o nomme suoje stampato ngopp'ò legno
ma isse mò suspire a chillu late:
mò sò passate tutt'è malatie
e o suonn'e a pace sò na cosa sola...

Domenico Illiano

Cronaca: i cani di Poggio all'Orso

Medea

Caramella

Poldo
Poldo e Caramella sono stati adottati a Castel del Monte, in Abruzzo, dopo il terremoto. Molossi Abruzzesi, sono splendidi e fedeli guardiani bianchi. 
Medea è stata adottata al canile di Prato, mix volpina/maremmana è una vedetta eccellente. Mi seguono in ogni lavoro in azienda, sono la mia ombra e mi fanno sentire protetta... Solo qualche mese fa, mentre scaricavo delle granaglie nel magazzino, un topino minuscolo è schizzato fuori da un bidone e si è infilato nel collo del mio stivale. Sarò anche coraggiosa, ma in quel frangete un urlo mi è uscito istintivo... Bene, in pochi secondi i cani erano da me, mi guardavano e si guardavano intorno a chiedermi: "Cos'è successo? Dov'è il problema?".

bea

Cronaca: Beau e la neve

Beau, maestoso nel portamento, sta sotto la neve. Non ha problemi di freddo lui, la pellicciotta invernale lo fa somigliare ad un orso marsicano. E mi insegna che la vita è bella anche sotto la neve, anche quando il gelo la fa da padrone. Mi insegna che la vita è bella anche d'inverno proprio perchè è inverno....

bea

Lettera ad un Amico...

Claudio e Beatrice, ci presentiamo così, attraverso una lettera scritta ad un Amico....

"Magico progetto il tuo, amico caro… mentre percorrerai la 66, pensieri e preoccupazioni scivoleranno via dalle tue spalle, passando lungo i fianchi sudati del cavallo che dividerà con te la strada, fino a cadere a terra perduti per sempre....
Io sto fisicamente bene. Ma vivo di miraggi, miraggi che diventano realtà, man mano che si avvicinano. Poggio all'Orso è un folle miraggio che si sta consolidando... I benpensanti borghesi mi chiedono come faccio a vivere quassù. Poi, dopo un pò che siedono qui con me, mi chiedono se ho un posto per ospitarli.... La magia della natura entra dentro di loro, li intossica lentamente, disturba i loro aridi ragionamenti... Il sudore mio, l'odore della terra calda di sole, il belato delle capre e il gioco dei cani, il canto e la rissa dei galli, il verde sfacciato delle fronde, il gorgoglio dell'acqua che adesso sale gelata e allegra dal pozzo artesiano, sudata goccia a goccia per tre anni, li distoglie dagli sterili luoghi comuni di cui vivono, di cui si nutrono, di cui si ammalano.
Ed io sorrido...e penso alla corrente elettrica che è mancata per altrettanti tre anni, alle candele la sera con la loro luce calda ed intima accompagnata dal silenzio dei boschi fuori dalle finestre buie, alla morte annunciata della televisione, ormai muta e fredda e dimenticata da una parte, alla chitarra di Claudio, unica voce sommessa e garbata che usciva dalla camera di legno, all’intimo dialogo a cui spinge il silenzio rumoroso delle notti silvestri, quando è d’obbligo parlare sotto voce per non disturbare la natura intorno, quando è d’obbligo parlare dal profondo, perché sottovoce si possono dire solo cose intime, importanti….
E ritorno a quei momenti fortunati, faticosi, vivi. Dove tutto è strappato alla terra con le mani, senza uno strumento agricolo, ma solo in compagnia della zappa e della vanga… E ritorno al taglio drammatico di rovi grandi e forti come tronchi decennali, alla scoperta del terreno sotto di essi, alla rinascita fatta di un ampio sospiro verde degli alberi stretti da anni in liane assassine, alle stalle costruite a mano con fatica, martello e chiodi….
E ritorno al costruire, al fare, così come oggi costruiamo e facciamo.. in un gioco da grandi che deve durare tutta la vita. Perchè Poggio all’Orso è un gioco da grandi. Un gioco da grandi che si sono stancati della monotonia delle cose, delle scarpe di pelle e dell’asfalto delle città, dei luoghi comuni, dell’esteriore vivere… Un gioco faticoso, impegnativo, dove si scommette ogni giorno e in ogni occasione, dove si perde spesso e si vince raramente, ma quando si vince, la gioia chiude la gola e le lacrime scivolano dal mio viso al collo del cavallo che sto abbracciando, alla capretta che appoggia le zampe sul mio stomaco per raggiungermi le mani, ai gattini minuti e gracili che scoprono il mondo fuori dalla cucina….
E in questi rari ma forti momenti di vittoria, il giocatore vince, vince sulla vita, vince sulle sfide, vince su se stesso andando oltre a ciò che potrebbe essere stato in un percorso comune, anonimo, stereotipato… vince sul branco in un canto solista unico ed irripetibile.
Ti abbraccio e ti auguro davvero tanto bene."

Bea

Impegnamoci: Il risveglio della massa

A chiunque si chieda chi sono le masse, risponderà: gli altri. La massa è dunque la congregazione umana, noi esclusi. A meno che non ci serva come rifugio, fagocitandoci e facendoci letteralmente scomparire.
La massa è quell’entità che segue i programmi di basso livello in tv, che si veste tutta uguale, che fa le stesse vacanze e lavora otto ore al giorno per uno stipendio utile unicamente alla sopravvivenza.
La massa è un oceano senza sentimento, un organismo lento ed ottuso nel pensare, inetto nell’agire, debole e condizionabile.
La massa è un nome così inflazionato che se lo ripeti più di tre volte di seguito perde di significato e non capisci più cosa stai dicendo.
La massa genera figli tutti uguali che raramente emergono, vive e si riproduce, si nutre, procede senza oneri né onori, quindi muore.
La massa viene usata come piedistallo e humus di sostentamento da tutti i potenti della terra. Su di lei poggiano i più grandi teoremi politici, le maggiori industrie, i commerci globali. Fondamenta inerme del  grande palazzo mondiale, è colei che crede senza pensare ed incapace di analisi critica sa solo soggiacere alle pressioni ed ai condizionamenti che vengono dall’alto dei suoi stessi piani.
La massa non ha valore umano, è solo un agglomerato numerico ideale.
Ognuno di noi non vorrebbe mai far parte della massa, ognuno di noi crede di non essere la massa, ognuno di noi vede la massa come inferiore e distante. Questa schizofrenia sociale, dove l’individualismo conduce ad una scissione disastrosa, ci prende per  mano e ci porta ad un distacco, ad una non identificazione che rende la massa un organismo a cui sono strappati gli arti, incapace di agire e muoversi. Un’entità depauperata delle proprie menti, inetta. Un contenitore vuoto di se stesso, di nome ma non di fatto, colmo anzi di individui che si deprezzano se collocati al suo interno.
Solo una presa di coscienza coraggiosa, nell’affermazione consapevole ed orgogliosa di far parte della massa, di essere massa, può ricostituire i tessuti laceri di questa, può rifortificarla, ridandole la capacità critica e l’enorme potere che le apparterrebbe. Anche in questo invece, la massa è stata convinta di essere un non-valore, e ci crede. Eppure etimologicamente massa sta per impasto, per somma di particelle che formano un solo corpo. Insomma, l’espressione concreta dell’unione che fa la forza, la macroscopia del branco che protegge, con la sua entità numerica, i singoli individui e permette loro di vivere, procedere e crescere nello scambio e nella collaborazione, evolvendosi.
Oggi invece, per assurdo, il solo fatto di credere nella forza intrinseca della massa, significa esserne fuori.

Bea

Impegnamoci: Appartenenza e libero arbitrio

Sempre di più ormai dai mass media riceviamo messaggi atti a condizionarci, e non solo al fine di acquistare qualcosa, ma per far si che siamo qualcosa. Assorbendo questi messaggi e omologandoci, contribuiamo a propagare il condizionamento con l’esempio, divenendo inconsapevoli complici di un meccanismo  che ci fa muovere tutti intruppati in luoghi comuni, in valori scadenti, in abiti simili che però stanno a significare l’appartenenza. Quell’appartenenza che da sicurezza, fa sentire che ci siamo, siamo in regola, siamo a posto.
E’ un bisogno atavico quello dell’appartenenza, animale. Ma non dovrebbe trasformarsi in schiavitù ne nell’annullamento di quelle caratteristiche salienti che rendono ognuno di noi unico ed irripetibile. Eppure, per un piatto di lenticchie vendiamo la nostra originalità. Per raggiungere quella falsa sicurezza di facenti parte tutta esteriorizzata, siamo capaci di perdere la capacità reale di essere presenti: quella di esercitare il libero arbitrio. Viviamo allora in un mondo illusorio i cui scenari sovente si lacerano lasciandoci fragili ed impauriti. E dietro questi scenari di carta non ritroviamo la capacità critica e l’autonomia di pensiero a sostenerci, ma il vuoto agghiacciante del condizionamento. Siamo la generazione del nulla, del comodo, veloce e precotto. Imboccati, abbiamo perso perfino la capacità fondamentale di procurarci il cibo. Siamo disabituati a porre domande, a valutare autonomamente gli eventi, le cose, le persone. Tutto questo ci ha indebolito, quando invece la forza intrinseca dell’essere umano sta in ciò che pensa, in ciò che impara, in ciò che può scegliere di mettere in pratica. E’ la percezione delle proprie potenzialità che rassicura, di quello che saremmo in grado di fare se. Ma per saperlo, dobbiamo coltivare questa parte di noi, la parte critica, creativa e decisionale. Il libero arbitrio deve essere sempre presente, pronto a reagire ai condizionamenti, pronto a valutare la reale importanza delle cose, pronto a filtrare e a scegliere, a difendere ed a costruire la nostra interiorità, permettendoci così la reale appartenenza al branco, fatta di utilità, contributo e partecipazione.



bea

martedì 18 ottobre 2011

Cronaca: Quotidiana amministrazione mattutina.

Alle 5 già sono alzata, mentre Pippo-gatto mi volteggia intorno, eccitato per il risveglio nel lettone tra me e  Claudio. Lo calpesto almeno 3 volte prima di capire che non è il tappetino... In questi giorni ormai la prima manovra da fare è accendere la stufa a legna in cucina con tutto il necessario preparato la sera. Mentre la stufa comincia a fumigare, metto il canonico caffè. Pippo-gatto continua imperterrito a far casino. Alla finestra bussano le due gatte-pazze, Matisse e Macchia, isteriche da un mese per il nuovo venuto, che considerano apertamente un extracomunitario abusivo. Dopo una coccola a me e una soffiata a lui (Pippo-gatto) corrono alla ciotola del latte, cattiva abitudine di tutte le mattine, che io ho generosamente riempito per l'occasione. Ore 6 arriva  Claudio, mentre l'unico neurone stenta a ripartirgli... dev'essere il freddo! Ovviamente pesta Pippo-gatto anche lui almeno 3 volte... Quando il neurone riparte, seppur battendo in testa, egli si dedica ad una pantagruelica colazione, ed io ogni giorno mi chiedo dove diavolo la cacci tutta quella roba che mangia... Alle 7 Claudio parte per il lavoro, mentre io mi scafandro bene e parto per il giro delle colazioni. Un pò di pane secco ai cavalli, tanto per far loro una coccola mentre mi soffiano sulle mani con i nasoni caldi e morbidi dopo avermi chiamata con un "prrrrrr" garbato ed intimo. Così per le caprette, piccole tanto da star perennemente tra le zampe dei cavalli, quasi fossero tettoie mobili. Soprattutto quando piove! Poi si passa ai bipedi ovipari, che sono già tutti in fila ad aspettare la colazione: pane, crusca, granturco e fioccato per i più golosi. Ultimi ma non ultimi i pulcini nella voliera che da un mese ormai funge da nido d'infanzia. Crescono e sono famelici, assieme alle loro mamme chiocce, premurose e protettive. In tutto questo giro i cani mi seguono festosi e attenti, soprattutto ai pezzetti di pane che sfuggono ai cavalli, per appropriarsene... Mentre tutti vanno di ganascia, pulisco la capannina. Rastrello, pala, carriola, ramazza e tanta pazienza. Un cavallo produce dalle 10 alle 15 fiante al giorno di circa 2/4 kg ciascuna. Immaginiamo quante ne devo raccogliere ogni giorno con 2 cavalli... :(  Pulita la capannina si distribuisce il fieno in un bel mucchio dove infilano il naso cavalli e capre contemporaneamente, quasi fossero una composizione floreale giapponese....

bea

Cronaca: Azienda agricola diversamente abile!

Poggio all'Orso: un'azienda agricola diversamente abile! Dove nessun animale è sfruttato per la carne. Dove le galline muoiono di vecchiaia, dove gli animali sono adottati da situazioni difficili. Qui viviamo tutti insieme, la socializzazione è parola d'ordine. Si pratica l'ortocultura usando una fresa vetusta (34 anni) barattata 2 anni or sono con 2 pecore sarde. Oggi purtroppo la fresa ha detto stop, così ci  siamo dati alla permacultura. Il rendimento è un decimo, ma anche la fatica... :)
bea

Cronaca: siamo una grande famiglia....

Siamo una grande famiglia, molto grande e con tanto spazio nel cuore.  Beatrice e  Claudio si prendono cura di Charlie e Beau, i 2 cavalli. Birba, Giulia ed Ernesto le 3 caprette. Poldo, Medea e Caramella, i 3 cani. Matisse, Macchia e Pippo, i 3 gatti. Grazia, Graziella e Graziano, le 3 anatre. Sor Gallo e le sue 5 galline. I 2 Mister Bonsai, galletti mugellesi con le 2 mogli e uno stuolo di pulcini. Ultima arrivata la Famiglia Spinoza, i 3 ricci che abitano nella stanza sul retro e si nutrono con le crocchette dei gatti....

bea

Cronaca: Le mie confetture extra....


Sinfonie d'autore tratte da frutti coltivati come Natura insegna”
Marmellate, confetture e creme stagionali, dolci o piccanti, che nascono dalla semplicità della coltivazione naturale, in assenza totale di anticrittogamici e pesticidi e da una lavorazione artigianale con firme di aromi ricercati che ne esaltano ed impreziosiscono il sapore. La dolcezza dello zucchero di canna si sposa alla frutta in dosi che non superano mai il 25%, mentre dalla semplicità di base spicca in volo la ricerca del gusto con piccoli e brevi accenti di spezie che lo rendono unico ed irripetibile.”

Cronaca: Questa è una madre che ha tutto il mio rispetto.

Sto scendendo in paese quando, dopo una curva della stradella asfaltata, mamma Asina mi si mette davanti alla jeep, determinata a bloccarmi finchè il figlioletto non abbia attraversato....

bea

Solitudine, viaggio interiore...


…..Adesso il Bianco Dottore sta seduto, stranamente silenzioso, accanto a me. Guardo le mie gambe dentro una tuta blu larga e felpata. Sono le gambe di una donna. Se ne accorgerà? Le incavallo, sperando che così si veda meglio, che sono una donna. Ma lui sembra non accorgersene. Provo a parlargli della solitudine. Della mia solitudine. Così avrà qualcosa da analizzare e forse uscirà dallo strano silenzio in cui è piombato.
Mi vedo come fossi un eremita e glielo racconto: sono un’immagine scura, china su me stessa, impegnata nella solitudine del mio percorso.
Un lavoro a matita, mi par d’essere, fatto ad arte coi chiaro-scuri.
Una sorta di solitudine spesso obbligata dalla ricerca di se stessi.
Questo chiaro-scuro mio, molto più scuro che chiaro, sta a significare il lato occulto delle cose. Il mistero forse non svelabile del nostro cammino.
Sto china, introflessa, a difendere i miei tesori cercati e trovati. Posizione raccolta e chiusa, concentrata su se stessa, che esclude gli altri dal proprio percorso. Solitudine come libera scelta, ma sofferta.
Un lungo bastone pastorale mi accompagna, sostiene il mio cammino assieme alla lanterna, unica luce, indispensabile al pari del legno: poche cose, essenziali. Me stessa e quella fiamma che vuole illuminare perché calata fuori e dentro di me proprio a questo scopo. Nient’altro.
Questa è la solitudine. Io stessa, il mio ingegno e ciò che mi circonda.
E poi la riflessione, e questa è un’altra solitudine che mi allontana dagli altri, che non sanno né possono sapere del mio percorso.
E infine, l’obbligo ad andare. Altra solitudine, ché il cammino di ognuno di noi sta su un passaggio differente.
I miei ciottoli non saranno mai i tuoi, Bianco Dottore, anche se spesso ne troveremo di simili.
Questo immergersi nelle cose, nelle sensazioni proprie delle cose, questo ascoltarsi, muovendosi a stupore e meraviglia. E da quest’ascolto percepire il riverbero di altri cuori, di altre emozioni che prima non mi appartenevano.
Ascoltare me stessa, china, è ascoltare il suono dell’umanità tutta.
Come la risacca significa il mare che s’infrange, così il suono dell’intimo significa l’universo.
Dall’improvvisa estensione del nostro apparentemente piccolo, circoscritto io, nasce la meraviglia. Eppure, continua la sofferenza solitaria.
Potrò mai trascendere la mia solitudine? Potrò conoscere l’appartenenza? A questo anela, in fondo, la solitudine: solve et coagula. Alla riunione delle cose create.
Cammina! Cammina! Il fermarsi non esiste più. Mai più sarà il riposo, il sedersi, l’abbandonarsi alla vita semplice. Lo stare sulla superficie delle cose. Mai più.
Scompare la possibilità del non interrogarsi, del non ascoltarsi, del non immergersi negli abissi. E drammatico, cade quel velo che mi fa vivere più come animale che come essere umano. Crudele si lacera e vedo, non la verità delle cose, ma l’obbligo al cammino.
La verità poi, ha da venire.
…. Il Bianco Dottore mi ascolta fino alla fine in silenzio, ma i suoi occhi tradiscono la tempesta che si sta scatenando dentro di lui. Poi ritrova il controllo delle sue acque interiori e riprende a fare domande.
Vuole sapere troppe cose. Non rispondo più, sono stanca di parlare con uno che non si accorge che sono una donna.
Stringo le gambe l’una contro l’altra. Così forte da sentire male alle ginocchia, che cozzano. Stringo anche le labbra.
Finalmente capisce e si alza, fa per andarsene. Poi si ferma, indeciso, si volta verso di me e, supplicandomi con gli occhi, mi dice:
“Parlami dell’Amore..."


bea

E l'agnello cresce, timido, alla vita...


La vita stanca, a percorrerla tutta. E’ lunga, difficoltosa, piena d’intoppi macigni. La vita stanca. La giri intorno fino in fondo. Finché hai fiato. Nella speranza vana di trovare soddisfazione al grido che essa stessa muove.
E quando all’orizzonte solo ti si vela l’ultimo scoglio, fatto di pochi o tanti, se sono lunghissimi, ancora anni, capisci che la vita è fatta per percorrerla, non per arrivarla. E allora la rivedi, la vita.
Oggi è un agnello bianco, tiepido e fragile. Ieri città nuove, viaggi, sorrisi e dolori.
E l’agnello cresce, timido, alla vita.
Io vado tra il fango e le nubi in una solitudine silenziosa. Guardo intorno le valli altissime, bagnate o innevate, mentre l’odore caldo e ormai familiare delle stalle riempie il silenzio profondo. Fuggita fuori dal caos delle genti vivo la Legge, impietosa e insindacabile.
E questo stare allarga l’anima, la fa accomodare tutta tra i declivi boscosi. Quanto essa diventa ampia, tanto la posso leggere; dal primo giorno di vita consapevole ad oggi. Ci sono milioni di momenti incancellabili accaduti,nelle pieghe estese di quest’anima. Piccoli passi fatti nella speranza di arrivare da qualche parte, di lenire il dolore del vivere, che sono rimasti. Ancora coi colori accesi addosso di ieri. E che importa allora se adesso vivo in città o nei boschi, che importa se porto stivali o scarpe lucide, che importa se abbia una casa o una stalla…. se sono ancora io quella che vive tutta nel telo disteso dell’anima? Sono ancora con giacca e gonna corta blu. Sono ancora ad un casello stradale. Sono ancora. Eppure, non sono più.
E l’agnello cresce, timido, alla vita.
Mentre io imparo da lui, dal fragile coraggio che emana. Imparo e cammino, imparo e cammino. Rileggo il telo dell’anima e cammino, oggi più lentamente di ieri, per la stanchezza di leggere, imparare e camminare.
Finché ci sarà strada davanti a me imparerò e camminerò, scrivendo sul telo disteso tra i declivi, con grafia leggera e minuta, ogni frase, ogni istante, ogni sentire.
Tante cose ho capito, tante cose ho imparato a rispettare. Ho accolto il significato sacro di ogni piccolo accaduto. Il rispetto porta sempre un buon ricordo, anche di quello che può sembrare da dimenticare.
Tanti orgogli ed egoismi si sono sciolti quassù, insieme alle nevi. I venti li hanno dispersi, il gelo li ha uccisi.
E l’agnello cresce, timido, alla vita.
Mentre la mia di vita scende, lenta ma inesorabile, verso l’ultimo torrente, giù a valle.

bea

Mamma pecora va in città....



Un giorno Mamma Pecora disse al suo figliolo: “Oggi ti porterò a visitare la città, preparati”.
I due fecero molti chilometri a piedi, e appena giunti nelle vie trafficate, indifferenti al fatto che tutti li osservavano, cominciarono a guardare le vetrine. Il piccolo chiese alla madre di avere dei giochi che erano su uno scaffale, ma la mamma rispose: “Continua ad osservare, figliolo”.
L’agnellino, arrivato davanti ad una pasticceria, chiese dei dolci per riempirsi la pancia, ma la madre nuovamente glieli negò e gli ricordò di osservare. Davanti a un negozio di arredi, il piccolo chiese un divano e non l’ebbe, poi chiese un autoradio, un cellulare, un tom tom, una sedia a dondolo, una maglietta rossa, un paio di blue-jeans, un suv, una pelliccia di volpe, due televisori, quattro radiosveglie, l’idromassaggio, un computer portatile e la macchina elettrica per fare la pasta….
Mamma Pecora, davanti a tutte queste richieste, emise un belato sommesso poi disse: “Figlio mio, quando sarai abbacchio, ti resterà solo tutto quello che ha arricchito la tua anima, e non altro… Dunque rifletti, poi dimmi cosa desideri avere veramente ed io farò in modo che tu l’abbia.”
L’agnello fece una mezza capriola sul marciapiede, riflettè un momento guardando l’asfalto poi alzò il capo verso la madre e rispose:
“Allora mamma, riportami subito al nostro ovile, e dammi il profumo dell’erba, il calore del sole, il soffio del vento e l’odore della tua vicinanza!”.
bea